Inferno e paradiso – settembre 2017

Quante volte dalla superstrada abbiamo sbirciato le condotte che scendono quasi a picco sopra la Sacca di Esine e, lì accanto, quella valle infrattata e ascosa, seducente e tentatrice come si addice al suo nome: la Valle dell’Inferno, appunto. È già settembre: è tempo di andare a conoscerla! Approfittando della riapertura del Rifugio Rosello di Sopra (un gioiellino, passate a trovare Milena!), spezziamo la gita su due giorni. Ciò ci consente di evitare il temutissimo sentiero 730 “trecciolino”, per “escursionisti esperti”, categoria cui non abbiamo l’onore di ascriverci; compiremo invece un largo periplo di tutta la Valle.

Si parte alle ore 7:30 dalla Sacca di Esine, all’imbocco del sentiero 725, località Public House per chi ha nostalgia degli anni novanta. Siamo a quota 200 m.s.l.m. e ci aspetta un dislivello in salita di circa 1800 m. (domani saranno altrettanti in discesa, ovviamente). Il sentiero si presenta subito piuttosto erto; pur senza particolari difficoltà tecniche, serve però un po’ di allenamento. Essendo un versante esposto a nord, c’è il vantaggio di camminare all’ombra fino al pomeriggio inoltrato. In un paio di punti il sentiero intercetta la condotta della centrale ed è possibile fare la foto di rito sui gradini che la costeggiano: il colpo d’occhio è notevole, sconsigliato per chi soffre di vertigini. Si prosegue nel bosco, maturo e abbandonato al punto giusto. Il primo bivio è al Bacino Resio, quota 1067 m. (ridendo e arrancando ne abbiamo già risaliti 800!): verso sinistra si rientra nella Valle dell’Inferno, sentiero 730; noi proseguiamo a destra verso il Corno Ceriale (1291 m.). Saggiamente, direi, perché scopriamo un piccolo paradiso di boschi, prati, radure, forre: una sorta di selvaggio a misura d’uomo. «Qui è perfetto per il picnic: fermiamoci!» esclamo entusiasta. I miei compagni mi fan notare che sono solamente le 10:30…

A Corno Ceriale il sentiero 725 si addentra in una splendida faggeta. A un certo punto i segni diventano meno chiari e, nel dubbio, decidiamo risalire il bosco tenendoci a sinistra, per evitare di aggirare il dosso Blussega dalla parte sbagliata. Ci va bene e incrociamo il sentiero 720 all’altezza della Malga Perlepere (1629 m.). Da qui, per un bel pezzo, il sentiero coincide con la mulattiera che collega le malghe Cauzzo e Piazza La Nera. Dopo Piazza La Nera la segnaletica è poco accurata e non è facile capire dove esattamente si debba scendere verso la valle dell’Orso. Di nuovo, ci affidiamo all’istinto e siamo premiati intercettando un sentiero che scende a sinistra: sarà questo il 720A riportato in cartina? Il dubbio ci resta, probabilmente no; infatti arriviamo molto più in basso del previsto, in fondo alla Valle dell’Orso, nei pressi di alcuni ruderi e di un masso enorme. Lì, sulla destra, inizia un altro sentiero segnato con dei punti rossi sugli alberi, che risale fino al Museo Silter di Gianico (1551 m.).

I chilometri, le ore, lo zaino e soprattutto il dislivello iniziano a farsi sentire pesantemente sulle mie gambe affaticate. Ma non tutto il male vien per nuocere! I miei agili compagni, costretti a rallentare, zigzagando per i boschi racimolano un tesoretto di funghi. Il pensiero che Milena al rifugio ce li convertirà in un risotto ai porcini e mirtilli mi dà la spinta necessaria per affrontare gli ultimi strappi! Alle 15:30 arriviamo dunque a Rosello di Sopra, dopo otto ore di cammino. Doccia, cena e dopo il tramonto ci concediamo il brivido di una spedizione nel bosco. È buio: Frate Indovino mi aveva promesso la luna piena, ma foschia e orografia ce la nascondono fino a mezzanotte. Ci appostiamo in una radura, in silenzio, per sentire i rumori del bosco. Nessuno lo dice, ma so a che cosa pensano: «E se arrivasse l’orso?». Un feroce ruggito alle nostre spalle mi fa balzare in piedi, brandendo bastoni con aria truce. Illuminiamo con le pile frontali, ma della belva neanche l’ombra; poi sentiamo il ruggito allontanarsi a forte velocità. «Però, non lo facevo così rapido, l’orso», commento con finta sicumera. «Forse perché era un capriolo…» mi spiegano gli amici. Anche oggi ne ho imparata una: i caprioli abbaiano! E fu sera e fu mattina, primo giorno.

L’indomani ci svegliamo sentendo abbaiare, ma non sono caprioli, bensì i cani che partecipano alla prova locale del Trofeo Saladini Pilastri, uno dei più importanti a livello internazionale. Mi muovo guardingo tra i quadrupedi, alcuni dei quali valgono più del mio intero patrimonio. Meglio stare bene attento a non pestargli una zampina! Ci rifocilliamo con una colazione da re, su cui spicca il burro di malga Cadinù (complimenti al malgaro Martino). E partiamo.

Visto che “è solo discesa”, allunghiamo il rientro con la variante Roselletto-Bivacco Bassi, seguendo il 730-740, che i più romantici chiamano “sentiero delle Cascate” e i più arguti “sentiero dei ragionieri”. È davvero molto bello, sebbene con uno strappo finale piuttosto impegnativo. Dal Bivacco Bassi teniamo a sinistra sul 740 verso Fop de Cadì. Lungo il sentiero incappiamo in una pecora con agnello al seguito, che ci precede quasi guidandoci dentro alla conca di Cadì. Il pastore è partito con il resto del gregge, dimenticandola qui: si tratta dunque della pecorella smarrita della celebre parabola. Sopravvivrà all’inverno? Qualcuno verrà a recuperarla? Attanagliati dall’angoscioso dilemma, non ci avvediamo di un giovane camoscio che sbuca alla nostra destra e in un amen scompare tra gli anfratti, correndo all’impazzata e fischiando furiosamente. Caprioli che ruggiscono, camosci che zufolano, qui se ne vanno a ramengo tutte le mie certezze etologiche! Forse il camoscio fischia quando ha paura, come le marmotte? Parafrasando Boskov: “Terrore è, quando camoscio fischia”. Per riprenderci, facciamo uno spuntino: ormai è mezzogiorno e, come Obelix, abbiamo sempre fame a mezzogiorno.

Il sentiero scende fino alla Pozza di Scandolaro (1760 m.). Lì potremmo osare una discesa ardita sotto il dosso del Giustadur, attraversando la selvaggia Valle del Cul (absit iniuria verbo); più prosaicamente, prendiamo la mulattiera 735 che ci porterà al rifugio Budek, dopo una interminabile scarpinata. Il rifugio Budek (1322 m.) è servito dal fondovalle e segna ufficialmente il nostro ritorno nella “civiltà”: festeggiamo con un rinforzino a base di salumi e formaggi. Poi, sdegnando di proseguire lungo la mulattiera, prendiamo il sentiero 735 verso sinistra, rientrando nei boschi. In questo modo, ci ritroviamo di nuovo nei pressi della Valle del Cul, lambita più a monte, e intravediamo la partenza delle condotte che alimentano il Bacino Resio tramite un ingegnoso sistema di vasi comunicanti.

Fatiche e vesciche cominciano a farsi sentire (perché la discesa del ritorno sembra sempre senza fine?). Cercando di accorciare la strada, rischiamo di perderci nei pressi di Guillo; per fortuna incrociamo il sentiero di raccordo e ritorniamo sul famoso 730.

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Sono ormai le 17 quando superiamo l’ultimo ponte e, finalmente, immergiamo i piedi doloranti nelle fresche acque del Resio. La Valle dell’Inferno nasconde un paradiso!

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